sabato 3 settembre 2011

3 Luglio 1982 a Palermo.

3 settembre 1982. Era un caldo venerdì sera e gli italiani si preparavano a trascorrere uno degli ultimi weekend estivi prima del rientro al lavoro: le famiglie si preparavano per andare ad assaporare le ultime giornate di sole al mare e le coppiette si apprestavano ad uscire e a trascorrere un fine settimana all'insegna del divertimento. Anche Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie Emanuela Setti Carraro quella sera avevano avvertito la necessità di uscire a respirare la fresca aria di mare e avevano deciso di andare a mangiare in un ristorante di Mondello.

La A112 su cui salirono era seguita da un'Alfetta guidata dall'agente di scorta Domenico Russo. Alle ore 21,15, mentre passavano da via Isidoro Carini a Palermo, una motocicletta, guidata da un killer che aveva alle sue spalle il mafioso Pino Greco, affiancò l'Alfetta di Russo e Greco lo uccise con un fucile AK-47. Contemporaneamente una BMW 518, guidata da Antonino Madonia e Calogero Ganci, raggiunse la A112 e i killer aprirono violentemente il fuoco contro il parabrezza con un AK-47 (Dalla Chiesa e la moglie rimasero uccisi da trenta pallottole). L'auto del prefetto sbandò, andando a sbattere contro il bagagliaio di una Fiat Ritmo ivi parcheggiata. Pino Greco scese dalla motocicletta e, girando attorno alla A112 crivellata dagli spari, controllò l'esito mortale dell'agguato. Oltre a questi sicari, vi erano sul posto altri criminali "di riserva" che seguivano con un'altra auto pronti a intervenire nel caso di una reazione efficace del Russo, che però non ebbe modo di verificarsi.
Subito dopo le due auto e la motocicletta servite per il delitto vennero portate in un luogo isolato e lì date alle fiamme.
Carlo Alberto Dalla Chiesa era un uomo, ma ancora prima di essere un uomo, egli era un generale e, come succede per tutti quegli uomini che rivestono onestamente un'alta carica al servizio dello Stato, doveva mettere al primo posto il suo lavoro, il suo dovere. Seguendo questa semplice filosofia che viene, o almeno veniva, inculcata nella mente di ogni soldato che operava in favore del suo Paese, Dalla Chiesa, come tanti altri, trovò la morte. Qualcuno, quella notte, si mise al di sopra di Nostro Signore e si arrogò il diritto di spezzare le vite di tre uomini, rei solo di aver vissuto a testa alta, seguendo il proprio dovere morale e semplicemente facendo il proprio lavoro.


"Il generale di ferro" lo chiamavano. Ottimo combattente, Dalla Chiesa era un po' diverso dai soliti nomi che capita di sentire quando si parla di lotta a Cosa Nostra. Egli non era siciliano, ma aveva avuto a che fare con la realtà dell'isola quando era ancora molto giovane, indagando, a Corleone, su Lucianeddu e la sua banda di "viddani", capeggiati Salvatore Riina. Dopo anni di esperienza in questo campo, il generale fu mandato ad eliminare un altro cancro del nostro Paese: il terrorismo delle Brigate Rosse. Ebbe un grandissimo successo e il suo contributo all'abbattimento di questo genere di criminalità organizzata fu essenziale.
Poi, però, nell'82 lo Stato gli affidò un altro compito. Qualcosa di molto più delicato e spaventoso: la lotta a Cosa Nostra.
Chi, in quegli anni, lo mandò nella terra maledetta, la Sicilia, era già consapevole della fine che avrebbe fatto.


tratto da www.19luglio1992.com

Nessun commento:

Posta un commento